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Blog del Instituto Cervantes de Roma

Lengua y cultura de España e Hispanoamérica

Chitarre del Mediterraneo

Intervista a Pablo Sainz Villegas

Approffitando della visita di Pablo Sainz Villegas per el primo concerto del ciclo «Chitarre del Mediterraneo: un viaggio musicale attraverso Spagna e Italia», che celebra la ricca storia e cultura di Spagna e Italia attraverso alcuni dei brani più virtuosi e belli del repertorio chitarristico, abbiamo intervistato il chitarrista spagnolo.

La prima volta che siete salito su un palco avevate solo sette anni, a quanti anni avete iniziato a suonare la chitarra e come fu il primo approccio a questo strumento?

Ho iniziato a suonare la chitarra a sei anni. A casa, i miei genitori credevano in un’educazione umanistica, così sia mia sorella che io abbiamo iniziato con la musica come parte della nostra formazione. Fu una decisione molto naturale, quasi come imparare a leggere o a parlare. Ricordo che mi affascinava osservare come le corde vibrassero, come il legno risuonasse solo sfiorandolo. Ma fu a sette anni, durante il mio primo concerto, quando realmente sentii la magia. Quella sensazione di condividere qualcosa di invisibile ma profondamente umano con chi ti ascolta…fu un momento rivelatore. Da allora, capii che la chitarra non fosse solamente un strumento, ma un modo di toccare l’anima.

In  una intervista che vi hanno fatto recentemente, dicevate che la musica unifica la condizione umana. Che ruolo ha svolto la chitarra spagnola come “elemento unificatore” dell’identità latinoamericana?

La chitarra è uno strumento che appartiene tanto alla Spagna quanto al resto del mondo. Il suo viaggio in America Latina è stato più di una traversata geografica: è stato un incontro emozionale. Nel continente latinoamerico, la chitarra si è adattata con una naturalezza soprendente, come se vivesse già nell’anima dei suoi popoli. La ascoltiamo nei mariachi del Messico, nei tanghi dell’Argentina, nella samba del Brasile, nelle cuecas del Cile…È uno strumento che è diventato parte della voce di ogni cultura.

Dico sempre che la chitarra è lo strumento più democratico che esista: è alla portata di tutti, non necessita di grandi risorse e, tuttavia, può esprimere l’intero ventaglio della condizione umana. È anche il più vicino al cuore delle persone. In America Latina è stata testimone di celebrazioni, di lotte, di nostalgie e di sogni. E questo la rende un potente simbolo di unità, di identità e di resistenza poetica. La chitarra, in quel contesto, è un ponte emozionale che unisce storie, accenti e generazioni.

“El legado de la música sin fronteras” (“L’eredità della música senza frontiere”) è un progetto che intende promuovere la comprensione tra culture. Crede che la situazione politica attuale condizioni in qualche modo la produzione musicale recente?

Viviamo in un momento di grandi tensioni, dove spesso si alzano muri invece di ponti. E la musica, come forma d’arte profondamente legata alla libertà, non può essere estranea a questo contesto. È ovvio che ci sono condizionamenti politici e sociali che influenzano ciò che si crea, come si condivide, chi può accedere a certi spazi. Ma è proprio per questo che questo progetto è così necessario. Perché la musica può essere una trincea o una carezza, un grido o un abbraccio. E io preferisco che sia sempre un linguaggio che faccia unire le persone, capace di ricordarci la nostra umanità comune.

In questo contesto, crede che sia molto più necessario, ora più che mai, rafforzare la funzione educativa della musica in tenera età?

Certamente. La musica è uno strumento trasformativo, specialmente nell’infanzia. Non solo sviluppa capacità o abilità sociali, ma alimenta la sensibilità, l’empatia e la capacità di ascoltare, che è qualcosa di cui il mondo ha disperatamente bisogno. Io ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia dove la musica faceva parte della nostra educazione fin da piccoli. E questo mi ha segnato profondamente. Scomettere sulla musica nell’educazione è scommettere su una società più connessa, più sensibile e, soprattutto, più umana.

Da dove nasce l’idea di creare questo ciclo in cui si uniscono la tradizione musicale di due paesi con così tanti legami culturali in comune come Spagna e Italia?

Questo ciclo nasce da un bellissimo invito del direttore Ignacio Peyró, la cui sensibilità e amore per la cultura hanno reso possibile questo incontro. Fin dal primo momento, abbiamo condiviso una stessa intuizione: che Spagna e Italia sentono la storia in modo simile. Ci unisce uno sguardo comunque verso la bellezza, verso la tradizione, verso ciò che perdura attraverso l’arte. Ci unisce la musica, l’eredità e quella forma mediterránea di intender la vita attraverso l’emozione.

Questo ciclo cerca precisamente questo: tendere ponti tra due culture sorelle, ritorvarsi in ciò che è condiviso e celebrarlo. E la chitarra, per la sua storia, per la sua presenza sia in Spagna che in Italia, è lo strumento perfetto per farlo. È il linguaggio che parla a entrambi i popoli e che, senza bisogno di parole, connette i cuori. La chitarra ci ricorda che ciò che ci unisce è molto più potente di ciò che ci separa e che la musica continua a essere un modo che abbracciare l’altro.

Pablo Sáinz Villegas. Foto: Fabrizio Orzini

Aprovechando la visita de Pablo Sainz Villegas para el primer concierto del ciclo «Guitarras del Mediterráneo: un viaje musical a través de España y Italia», que celebra la rica historia y cultura de España e Italia a través de algunos de los fragmentos más virtuosos y bellos del repertorio guitarrístico, hemos entrevistado al guitarrista español.

La primera vez que se subió a un escenario tenía solo 7 años, ¿con qué edad empezó a tocar la guitarra y cómo fue su aproximación a este instrumento?

Empecé a tocar la guitarra con seis años. En casa, mis padres creían en una educación humanista, así que tanto mi hermana como yo empezamos con la música como parte de nuestra formación. Fue una decisión muy natural, casi como aprender a leer o a hablar. Recuerdo que me fascinaba observar cómo las cuerdas vibraban, cómo la madera resonaba con solo rozarla. Pero fue a los siete años, en mi primer concierto, cuando realmente sentí la magia. Esa sensación de compartir algo invisible pero profundamente humano con quien te escucha… fue un momento revelador. Desde entonces, entendí que la guitarra no era solo un instrumento, sino una forma de tocar el alma.

En una entrevista que le hicieron recientemente decía que la música unifica la condición humana. ¿Qué papel ha desempeñado la guitarra española como elemento unificador de la identidad latinoamericana?

La guitarra es un instrumento que le pertenece tanto a España como al mundo. Su viaje a América Latina fue mucho más que una travesía geográfica: fue un encuentro emocional. En el continente latinoamericano, la guitarra se adaptó con una naturalidad asombrosa, como si ya viviera en el alma de sus pueblos. La escuchamos en los mariachis de México, en los tangos de Argentina, en la samba de Brasil, en las cuecas de Chile… Es un instrumento que se ha hecho parte de la voz de cada cultura.

Siempre digo que la guitarra es el instrumento más democrático que existe: está al alcance de todos, no necesita grandes recursos, y sin embargo, puede expresar el abanico completo de la condición humana. Es también el más cercano al corazón de las personas. En América Latina ha sido testigo de celebraciones, de luchas, de nostalgias y de sueños. Y eso la convierte en un poderoso símbolo de unidad, de identidad y de resistencia poética. La guitarra, en ese contexto, es un puente emocional que une historias, acentos y generaciones.

“El legado de la música sin fronteras” es un proyecto que pretende promover el entendimiento entre culturas. ¿Cree que la situación política actual condiciona de alguna manera la producción musical reciente?

Vivimos un momento de grandes tensiones, donde muchas veces se levantan muros en lugar de puentes. Y la música, como forma de arte profundamente ligada a la libertad, no puede ser ajena a este contexto. Es cierto que hay condicionantes políticos y sociales que influyen en lo que se crea, en cómo se comparte, en quién puede acceder a ciertos espacios. Pero precisamente por eso, “El legado de la música sin fronteras” es tan necesario. Porque la música puede ser una trinchera o una caricia, un grito o un abrazo. Y yo prefiero que sea siempre un lenguaje de encuentro, capaz de recordarnos nuestra humanidad común.

En este contexto, ¿cree que es mucho más necesario, ahora que nunca, reforzar la función educativa de la música a una temprana edad?
Sin duda. La música es una herramienta transformadora, especialmente en la infancia. No solo desarrolla capacidades cognitivas o habilidades sociales, sino que alimenta la sensibilidad, la empatía y la capacidad de escuchar, que es algo que el mundo necesita desesperadamente. Yo tuve la suerte de crecer en una familia donde la música formaba parte de nuestra educación desde pequeños. Y eso me marcó profundamente. Apostar por la música en la educación es apostar por una sociedad más conectada, más sensible y, sobre todo, más humana.

¿De dónde surge la idea de crear este ciclo en el que se unen la tradición musical de dos países con tantos lazos culturales en común como España e Italia?

Este ciclo nace de una hermosa invitación del director Ignacio Peyró, cuya sensibilidad y amor por la cultura hicieron posible este encuentro. Desde el primer momento, compartimos una misma intuición: que España e Italia sienten la historia de manera similar. Nos une una mirada común hacia la belleza, hacia la tradición, hacia lo que perdura a través del arte. Nos une la música, el legado, y esa forma mediterránea de entender la vida a través de la emoción.

Este ciclo busca precisamente eso: tender puentes entre dos culturas hermanas, reencontrarse en lo compartido y celebrarlo. Y la guitarra, por su historia, por su presencia tanto en España como en Italia, es el instrumento perfecto para hacerlo. Es el lenguaje que habla a ambos pueblos y que, sin necesidad de palabras, conecta corazones. La guitarra nos recuerda que lo que nos une es mucho más poderoso que lo que nos separa, y que la música sigue siendo una forma de abrazar al otro.


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